CREARE CONFUSIONE CON L’ATTIVITÀ DI UN CONCORRENTE: LA GUIDA COMPLETA PER DIFENDERTI

In quali modi si può creare confusione con l’attività di un concorrente? Come posso evitare di creare confusione con l’attività di un concorrente?

Di seguito condivido le risposte alle domande che ti sei posto.

Tecnicamente, creare confusione con l’attività di un concorrente vuol dire fare concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1) c.c. ed è cosa ben diversa dal creare confusione con i prodotti di un concorrente.

In parole semplici, si può creare confusione con l’attività di un concorrente in due modi diversi:

  • attraverso l’uso dei segni distintivi
  • attraverso qualsiasi altro mezzo

CREARE CONFUSIONE CON L’ATTIVITÀ DI UN CONCORRENTE: L’USO DEI SEGNI DISTINTIVI

Gli atti di concorrenza sleale attraverso l’uso dei segni distinntivi si verificano quando un’impresa usa la denominazione sociale, la ditta, o l’insegna, il nome a dominio o il logo identici o simili a quelli appartenenti ad un suo concorrente.

In tali casi, se ha creato pericolo di confusione tra i consumatori, l’impresa commette concorrenza sleale attraverso l’uso dei segni distintivi.

QUALCHE ESEMPIO CONCRETO!

I giudici hanno ritenuto che il marchio “New Hair – Professionisti con sorriso”, registrato per “cure di bellezza per persone, servizi di parrucchiere ed estetica”, sia confondibile con un segno successivo, “New Hair School di Sapienza Rosaria”, utilizzato come insegna per contraddistinguere non un’attività di parrucchiere, ma di scuola per parrucchieri. (Trib. Catania 9/6/2013).

Nel caso “Adidas/Marca Mode”, l’Europa ha ritenuto che, anche se il segno successivo, utilizzato per attività identiche o simili, assomigli a tal punto al marchio anteriore da far sorgere la possibilità di associarlo a quest’ultimo ed il medesimo marchio anteriore possegga un carattere distintivo particolare, grazie alla sua notorietà, il rischio di confusione non esiste se non è provato (Corte di Giustizia, 22 giugno 2000, causa C-425/98, in Racc. 2000, I, 4861 ss., par. 33).

CREARE CONFUSIONE CON L’ATTIVITÀ DI UN CONCORRENTE: LE ALTRE IPOTESI.

La legge non vuole lasciare scampo a chi contravviene ai doveri di correttezza professionale: è vietato commettere atti di concorrenza sleale, con qualsiasi altro mezzo, diverso dall’uso dei segni distintivi, che possa creare confusione con l’attività di un concorrente.

In questa ipotesi, secondo una parte dei giudici, rientra anche la contraffazione del marchio, quando essa genera un rischio di associazione.

Si ha questo rischio, ad esempio, quando il consumatore medio è indotto a ritenere che:

  • il marchio “falso” contraddistingua una diversa linea di prodotti della impresa proprietaria del marchio originale
  • l’impresa che ha contraffatto il marchio faccia parte del gruppo dell’impresa proprietaria del marchio originale.

IL RISCHIO DI ASSOCIAZIONE SECONDO I GIUDICI ITALIANI…

La nozione di rischio di associazione è intesa in due modi piuttosto differenti dai giudici italiani.

Secondo una prima e prevalente impostazione, il rischio di associazione va considerato come sottospecie del rischio di confusione; e questo viene a sua volta inteso come rischio di confusione quanto all’origine dei beni contraddistinti dai due segni confliggenti (v. Trib. Milano, 20 marzo 2014; Trib. Forlì, Sez. dist. Cesena, 27 giugno 2003; Trib. Milano 15 gennaio 2002).

In questa prima prospettiva, viene tutelata la funzione pubblicitaria del marchio, quale veicolo di informazioni o messaggi attinenti non solo all’origine, ma anche alla qualità ed alla reputazione (v. Trib. Roma, 25 ottobre 2002 e Trib. Roma, 22 giugno 2001, ord.).

Altri giudici, invece, identificano il rischio di associazione con la nozione amplissima – e rigettata dai giudici europei – di “qualsiasi ipotesi di collegamento anche solo potenziale o psicologico tra due segni” (v. Trib. Torino, 18 dicembre 2009; Trib. Catania, 14 novembre 2003, ord.,; Trib. Napoli, 5 novembre 1998, ord.).

…E SECONDO I GIUDICI EUROPEI

I giudici europei hanno precisato che dall’art. 4, par. 1, lett. b) della direttiva 89/104/CEE (poi, art. 4, par. 1, lett. b, dir. 2008/95/CE e, oggi, art. 5, par. 1, lett. b, dir. 2015/2436/UE) «emerge come la nozione di rischio di associazione non costituisca un’alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a precisarne l’estensione» (v. Corte di Giustizia, 11 novembre 1997, causa C-251/95 ; Trib. UE, 7 dicembre 2012, caso «Quadratum/Loacker Quadratini»).

Insomma, il rischio di associazione è un sottoinsieme del rischio di confusione, e non viceversa; o, se si preferisce, il primo è una subfattispecie del secondo.

CREARE CONFUSIONE CON L’ATTIVITÀ DI UN CONCORRENTE: ALTRI ESEMPI CONCRETI

Secondo i giudici italiani, sono atti di concorrenza sleale idonei a creare confusione con i attività di un concorrente:

  • la copiatura di cataloghi o listini
  • l’imitazione dei moduli contrattuali
  • l’uso di autoveicoli per la distribuzione del prodotto o la fornitura del servizio contraddistinti dallo stesso colore adottato dal concorrente
  • l’imitazione dell’arredamento dei locali di vendita, quando ciò possa creare equivoci nel pubblico.

CREARE CONFUSIONE CON L’ATTIVITÀ DI UN CONCORRENTE: LA CONCRETA POTENZIALITA CONFUSORIA

Per creare confusione con i attività di un concorrente, è sempre necessario che gli atti di concorrenza sleale abbiano una concreta potenzialità confusoria.

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Avv. Alfredo Buccella