CONCORRENZA SLEALE CON VIOLENZA O MINACCIA: LA GUIDA DEFINITIVA

Pensi di aver subito concorrenza sleale con violenza o minaccia? Vuoi farla pagare a quel farabutto che ha minacciato te o ha picchiato un tuo dipendente?

Prima di agire, però, hai bisogno di certezze. E nessuno può darti torto, dato che fino ad oggi perfino i giudici non sapevano bene quando esisteva il reato di concorrenza sleale con violenza o minaccia!

Già, perché si tratta di un vero e proprio reato (penale) e tu hai diritto al risarcimento di tutti i danni subiti.

Ma andiamo con ordine.

Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2005, n. 46756), la concorrenza sleale con violenza o minaccia si ha soltanto se vengono commessi, con violenza o minaccia, i comportamenti competitivi tipici della concorrenza sleale (boicottaggio, rifiuto di contrarre, storno di dipendenti, sottrazione di informazioni riservate, sviamento di clientela, ecc.).

Il reato non verrebbe in essere nel caso di chi, nell’esercizio di una attività imprenditoriale, minacci o usi violenza per contrastare o scoraggiare l’altrui libertà di concorrenza.

In tal caso, troverebbe applicazione l’art. 8, L. 1982/646, che reprime la concorrenza della criminalità organizzata, quando usi metodi violenti o mafiosi, per il controllo delle attività commerciali, industriali e produttive.

Il secondo orientamento

Un diverso orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. III, 22 ottobre 2008, n. 44169) interpreta la norma in senso più ampio, non limitato alle indicazioni desumibili dall’art. 2598, n. 1 e 2, c.c.

Secondo tale impostazione, il bene giuridico tutelato consiste non solo nel buon funzionamento dell’intero sistema economico, ma anche nella libertà della persona di autodeterminarsi nell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o comunque produttiva.

La concorrenza sleale con violenza o minaccia, quindi, consiste in qualsiasi comportamento violento o intimidatorio che sia idoneo a impedire al concorrente di avvalersi della propria libertà di impresa.

Conferma tale orientamento Cass. pen., Sez. II, 26 marzo 2015, n. 15781, per la quale la condotta materiale del delitto in oggetto può essere integrata, in particolare, anche dall’uso di “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (art. 2598, n. 3, c.c.).

Fra di essi, rientrano gli atti diretti non solo a distruggere l’attività del concorrente, ma anche ad impedire che possa essere esercitato un atto di libera concorrenza, come l’acquisizione di nuove fette di mercato, precisando che l’art. 2598 c.c. va interpretato alla luce della normativa comunitaria e della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

La soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite (con sentenza n. 13178/2020) avallano quest’ultimo orientamento.

Quindi, sussiste il reato di concorrenza sleale con violenza o minaccia ed hai diritto al risarcimento dei danni quando:

  • tu e il tuo concorrente operate nello stesso mercato, offrendo ai consumatori beni o servizi che siano destinati al soddisfacimento dei medesimi bisogni
  • l’utilizzo di violenza o minaccia distorce le regole della correttezza professionale, andando oltre il mero atto di concorrenza sleale e provocando la compressione o negazione della tua libertà di scelta (e, di conseguenza, quella dei consumatori).


La concorrenza sleale con violenza o minaccia secondo le Sezioni Unite

In conclusione, le Sezioni Unite enunciano il seguente principio di diritto:

  • ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 513-bis c.p., è necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell’esercizio di una attività commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia idonei a contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente”.

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